Finita la spinta dell’immobiliare, il Paese punta sulle rinnovabili, dice il Corriere Economia.
I l mattone si è rivelato fragile. E inaspettatamente insidioso: la scatenata economia spagnola, da 14 anni alla rincorsa delle più abbienti e navigate coinquiline d'Europa, è inciampata nella bolla immobiliare. Anche l'asfalto si è fatto scivoloso e sembra aver quasi esaurito le potenzialità del suolo iberico; e duemila chilometri di rotaie ad alta velocità, invidia di tutto il vecchio continente, dopo aver trasportato la Spagna a 300 all'ora nel progresso, non sono bastati a farla fuggire dai morsi della recessione. Che qui ancora (per poco) si chiama «frenazo», la frenata. Tanto brusca e scomposta quanto alta era la forza propulsiva, ma non proprio uno schianto in corsa. Il sistema creditizio pare ancora sano, grazie a una politica super prudente, e non si parla di banche sull'orlo del fallimento. Anzi, nonostante il potente mal di mare in Borsa, quest'anno il Banco Santander ha migliorato i suoi utili del 15,8%, il Bbva del 9,1%, la Caixa del 18,9%. Il pilastro dell'edilizia ha ceduto, però ha insegnato alla Spagna a non concentrare sforzi e risorse soltanto in un paio di settori: costruzione e turismo, che con un'esagerata offerta di lavoro hanno attratto molti degli studenti persi dalle scuole negli anni scorsi (il 31% degli iscritti), lasciandoli poi disoccupati. La lezione sta già dando i suoi frutti, appesi all'albero di un'economia che sa di dover diventare molto più produttiva e competitiva, soprattutto in materia di trasporti, servizi postali e professionali: si chiamano innovazione, ricerca scientifica applicata all'industria, ponti fra università e aziende, energie rinnovabili, espansione internazionale delle telecomunicazioni e delle infrastrutture, esportazioni. In Europa, segnala William Chislett, analista del Real Instituto Escano, soltanto la Spagna eguaglia il Regno Unito con tre scuole di economie di alto livello riconosciuto internazionalmente, come IE, Iese ed Esade, fucine di futuri dirigenti. La ripresa passerà da qui. Se tra i motori spagnoli che continuano a girare a pieno regime, gli analisti non dimenticano il settore alberghiero (Sol Melia e NH), energetico (Repsol, Gas Natural, Iberdrola, Endesa, Union Fenosa), tessile (Inditex, Mango) o della grande distribuzione (Mondragon e Corte Inglès), alimentare (Sos, Pascual), la nuova scommessa dell'orgoglio iberico risiede nella capacità di diversificare e di scommettere sulle energie rinnovabili: Acciona ha anticipato il crack del mattone, trasformandosi nel maggior «coltivatore» di parchi eolici al mondo, con 5.000 Megawatt già installati e altri 15.000 in programma. A Siviglia la bandiera di Abengoa, impresa famigliare di Felipe Benjumea, fondata 67 anni fa per produrre contatori elettrici, sventola sul cantiere dell'avveniristica installazione di Solucar, un miliardo e 200 milioni di euro per 300 Megawatt di energia solare, e un'estensione pari a mille campi di calcio, sufficiente al fabbisogno elettrico di mezzo milione di abitanti. Un'altra di dimensione analoghe è stata commissionata all'azienda, che conta sulla compartecipazione dell'ex vicepresidente Usa, Al Gore, nel deserto dell'Arizona. Per uscire dalla crisi forse ci vorrà un po' di più dell'anno e mezzo che ha messo in conto il presidente del governo, José Luis Rodriguez Zapatero. Forse qualcosa meno dei tre che pronosticano le cassandre, impressionate dal tasso di disoccupazione, già al 12%, e destinato ad arrivare rapidamente al 15%. Senza sommerso, però, come in paesi, Italia inclusa, che ne dichiara la metà. L'Indice globale di competitività del World Economic Forum colloca la Spagna al 29esimo posto in una classifica di 134 paesi. Troppo poco per l'ottava potenza economica mondiale, mal piazzata anche nel ranking delle nazioni con cui fare affari (49esima su 181, secondo la Banca Mondiale), avviare un'attività (140esima), ottenere protezione come investitori (88esima).
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