Anche le microalghe potrebbero presto entrare come materia prima in un ciclo produttivo di biocombustibile: è la proposta avanzata in un numero speciale dedicato all’energia della rivista on-line ad accesso libero “Optics Express”, edito dalla Optical Society of America (OSA) dai ricercatori dell’Università della California a Berkeley.
Nel corso dello studio, questi organismi sono stati modificati geneticamente per minimizzare il numero di molecole di clorofilla necessarie per sfruttare la radiazione luminosa senza compromettere il processo di fotosintesi all’interno delle cellule. Con questa modifica, invece di produrre una quantità maggiore di molecole di zucchero, le microalghe potrebbero produrre idrogeno o idrocarburi.I ricercatori di Berkeley hanno identificato le istruzioni genetiche nel genoma di una specie di alga responsabili del dispiegamento di circa 600 molecole di clorofilla nelle 'antenne' che, nelle cellule, sono predisposte alla raccolta della luce. Per questa operazione, essi ritengono che ne possano bastare solo 130.L’obiettivo degli scienziati è quello di modificare la normale funzione di fotosintesi convertendola dalla generazione di biomassa alla sintesi di sostanze quali lipidi, idrocarburi e idrogeno. Tasios Melis, uno dei coautori dell’articolo, sostiene che le antenne che contengono clorofilla nelle alghe aiutano tali organismi a competere per l’assorbimento della luce del sole e a sopravvivere in ambienti in cui essa è spesso limitata. Le microalghe sono organismi ideali per questo tipo di sfruttamento grazie al loro alto tasso di fotosintesi: esse, infatti, sono circa 10 volte più efficienti delle specie vegetali che vivono sulla terraferma come la canna da zucchero, il mais e il panico verga (Panicum virgatum), spesso considerate fonti possibili di biocombustibili.
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