venerdì 26 settembre 2008

Traditi da kyoto

Dall'Espresso: Studiosi e ambientalisti accusano l'accordo per abbattere i gas responsabili dell'effetto serra: i meccanismi adottati contro la CO2 non sono efficaci e rischiano di inquinare più di quanto puliscono l'atmosfera. Mentre i ghiacci si sciolgono a ritmi record e il clima è ormai del tutto imprevedibile .

Furbetti anche a Kyoto? Gruppi di scienziati, tecnici dell'Onu e grandi organizzazioni ambientaliste stanno pubblicando studi e dossier che, per la prima volta, mettono in dubbio l'efficacia del più importante meccanismo di lotta al riscaldamento globale, varato con un accordo internazionale siglato nel 1997 nella città giapponese ed entrato in vigore nel 2005. Per limitare il riscaldamento del pianeta e i suoi effetti catastrofici, il protocollo di Kyoto ha previsto, come rimedio principale, un sistema di riduzione contrattata dei gas serra su scala mondiale. L'accordo ha creato un mercato planetario del disinquinamento che è gestito da un'apposita struttura dell'Onu: le monete di scambio sono i Certificati di riduzione delle emissioni (in sigla Cer), che vengono comprati dagli Stati o direttamente dalle aziende che inquinano. A venderli sono quei paesi e quelle imprese che creano nuovi impianti energetici approvati dal Palazzo di vetro, che ne quantifica la capacità di abbattimento dei gas serra. Il meccanismo si basa su uno scambio: per poter continuare a produrre oltre un certo limite (un tetto di emissioni concordato a livello nazionale), un'industria inquinante deve acquistare dai produttori più ecologici tutti i Cer necessari a compensare questo suo impatto ambientale 'addizionale'. Il risultato è un trasferimento planetario di risorse che mira a innescare un circolo virtuoso. Le vendite dei certificati servono a finanziare nuovi impianti meno inquinanti (e più costosi) soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Mentre l'obbligo di acquistare i Cer diventa una specie di tassa sull'inquinamento, che dovrebbe incentivare i grandi produttori di gas serra, cioè gli Stati più industrializzati, ad avvelenare meno per pagare meno. Il problema è che le prime analisi indipendenti sull'effettivo funzionamento di questo mercato portano a conclusioni allarmanti. Secondo una ricerca dell'Università di Stanford, pubblicata nel marzo 2008, "circa due terzi dei progetti finanziati non sono supportati da reali riduzioni dell'inquinamento".

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