I l Protocollo di Kyoto ha compiuto ieri quattro anni: per convenzione, l'accordo ambientale dell'Onu viene ricordato non con la data della firma ( dicembre ' 97) ma con la sua entrata in vigore il 16 febbraio 2005. In questi quattro anni il mondo ambientale è cambiato e l'industria energetica –quella più coinvolta dalle limitazioni alle emissioni di anidride carbonica –non è più la stessa di qualche anno fa.Qualche elemento di fondo. Il Protocollo di Kyoto rimane un obiettivo condiviso, ma è uno strumento vecchio. Lo confermano le inadeguatezze del piano europeo "20-20-20" (cioè il pacchetto clima-energia) e della direttiva Emissions Trading, i cui obiettivi sono difficili da conseguire e i costi restano alti nonostante che l'Italia sia riuscita ad ammorbidire i vincoli eccessivi. Il nodo negoziale dell'applicazione dei vincoli, degli incentivi e delle sanzioni si è spostato al prossimo negoziato internazionale in programma in dicembre a Copenaghen. Un altro elemento sotteso: l'industria sta cambiando in modo assai veloce e corre più in avanti dei politici di Bruxelles.I dati appena elaborati dall'Istat dicono che nel 2006 le aziende di maggiori dimensioni, con 1.664 milioni di euro, avevano realizzano quasi l'84 per cento del totale degli investimenti in campo ambientale, mentre le piccole e medie imprese erano marginalissime nel mercato verde. Era un altro sistema industriale. Oggi invece vediamo che la piccola e media impresa si affianca ai colossi. La M&G costruisce a Rivalta Scrivia un impianto per produrre benzina vegetale; la Ferrari di Maranello – ha annunciato ieri Luca Cordero di Montezemolo –entro l'anno venturo sarà energeticamente autosufficiente; la neonata Mx Group di Villasanta (Milano) ha lanciato i pannelli solari fai-da-te nel comodo kit preconfezionato. E in Brasile per la prima volta nel 2008 le vendite di alcol come carburante hanno superato la benzina.Il cosiddetto "effetto Obama" non è all'origine del cambiamento, ma ne è conseguenza: il nuovo presidente degli Stati Uniti, nell'incentivare il nucleare, le nuove tecnologie e una conversione del sistema produttivo verso uno sviluppo sostenibile, ha saputo capire un bisogno dell'industria e dei consumatori.Il mercato c'è: spesso non c'è la politica, quella stessa politica che – rimasta al pliocene dell'ecologia – introduce un incentivo all'auto senza spingere sull'ecologia e l'innovazione, o che dimentica lo sconto fiscale del 55% per chi spende per rendere più efficiente la casa.Nel 2000, quando il mondo del Protocollo di Kyoto si incon-trò all'Aia, si capì a che cosa serviva quell'accordo internazionale. Il Protocollo di Kyoto non ha ridotto di nemmeno un grammo le emissioni di anidride carbonica (+33% in 16 anni) ma «è un ottimo termometro della trattativa –ricorda Corrado Clini, direttore generale al ministero dell'Ambiente e uno dei grandi negoziatori internazionali dell'ecologia – ed è uno strumento di lettura delle posizioni: nel 2000 all'Aia l'Europa per la prima volta decise di andare avanti da sola con la sua posizione di imporre vincoli, mentre gli Stati Uniti si rinchiusero nella sottovalutazione degli effetti dei cambiamenti del clima. Posizioni perdenti che solamente oggi si tenta di superare».In questi giorni tra le due rive dell'Atlantico si cerca di delineare, in vista dell'incontro di Copenaghen, una politica condivisa tra Stati Uniti ed Europa. Si studiano misure comuni sugli standard tecnologici da adottare, sui livelli minimi di efficienza delle centrali elettriche, sulle caratteristiche delle automobili di nuova concezione, sulla struttura degli incentivi che non devono distorcere il mercato. (Dal Sole 24 Ore)
Che cosa fanno i grandi gruppi petroliferi per l’ambiente. Questo è ciò che Eni, ad esempio, su iniziativa dell’amministratore delegato Paolo Scaroni, dichiara di fare ogni anno.
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