giovedì 5 marzo 2009

Bio-etanolo made in Alessandria

Potrebbe essere la prima vera "raffineria" di benzina vegetale in Europa. Il gruppo chimico alessandrino M&G Mossi e Ghisolfi (tra i primi al mondo nella produzione di plastica pet per bottiglie) costruirà in Italia il primo impianto semindustriale di " seconda generazione" per la produzione di alcol. Etanolo, lo stesso alcol delle bevande. La materia prima però non sarà di origine alimentare. La materia prima da cui ricavare la "benzina pulita" sarà la canna comune, quella che si affolla spontanea sul bordo dei fossi italiani. La costruzione della fabbrica di energia pulita comincerà a Rivalta Scrivia (Alessandria) tra meno di un anno e sarà in produzione dopo un anno e mezzo di lavoro. L'investimento complessivo è di 120 milioni.Una conferma del valore del progetto viene da Mario Monti, presidente della Bocconi: «Bisogna puntare all'innovazione tecnologica che diminuisca l'intensità di emissione di carbonio per unità di energia usata, e questa è proprio la sfida dei biocarburanti», affermava ieri a Milano l'economista durante un convegno sul bioetanolo promosso dal gruppo Mossi e Ghisolfi e dalla Gbep (la (Global Bio Energy Partnership, l'organismo del G8 presieduto dall'italiano Corrado Clini) in collaborazione con Il Sole 24 Ore. Secondo il pacchetto europeo clima energia «almeno il 10% dei consumi nei trasporti dovrà essere coperto dai biocarburanti», ricorda Monti, ma per conseguire questo risultato con l'alcol «sono necessari 17,5 milioni di ettari di terreno coltivabili». Questo se si usassero le tecnologie convenzionali, quelle del bioetanolo "di prima generazione".Ecco perciò Guido Ghisolfi e la tecnologia che – sulla base del capitale immenso di studi e di sperimentazioni condotti dall'Enea nel centro ricerche materano della Trisaia – sta mettendo a punto con la sua squadra di ricercatori di tutto il mondo guidati da Dario Giordano. «Per sostituire un quarto della benzina italiana basterebbe coltivare a canna appena 10mila ettari», dice Ghisolfi.Difatti non bisogna partire dal granturco, come si fa per esempio in America del Nord, o da altre produzioni agricole che chiedono acqua a fiumi, concimi a camionate e diserbanti come piovesse. E che sono contestate perché la produzione di alcol da granturco o da altre varietà alimentari fa sempre sospettare problemi con le derrate alimentari. Non a caso i nemici delle bioenergie (a cominciare dalle lobby petrolifere) hanno additato per anni i produttori di alcol come affamatori del mondo povero.Ed ecco l'esperienza alternativa italiana, quella che non affama e non inquina. In una tenuta nell'Alessandrino l'agronomo Alessandro Arioli dell'Università del Piemonte Orientale è riuscito a ottenere – a dispetto del terreno perfido, sassoso e inadatto – una produzione incredibile di canna da trasformare in alcol. Comparabile per rendimenti con quella canna da zucchero con il cui alcol i brasiliani fanno marciare le loro automobili. «Se il bioetanolo ottenuto da mais è competitivo con il prodotti petroliferi quando il greggio supera l'ottantina di dollarial barile –osserva Corrado Clini – l'alcol prodotto in Brasile dai surplus di canna da zucchero fa concorrenza alla benzina anche quando il petrolio costa appena 25 dollari».I costi della tecnologia italiana sono simili. La materia prima è una pianta comunissima in Italia, ma la tecnologia può essere esportata per venire adattata alle colture povere (ed ecologiche) di altri Paesi. Non a caso il programma della Mossi e Ghisolfi è stato selezionato dal settimo Programma Quadro della Comunità Europea. Il progetto sta creando nel Tortonese una filiera delle bioenergie, come confermano le iniziative promosse in questi giorni da Agroenergia a Tortona. E le compagnie petrolifere italiane che cosa faranno? Diverse si stanno impegnando in prima persona sullo stesso tema (un caso per tutti: gli accordi stretti dall'Eni di Paolo Scaroni in Brasile sui bicarburanti). E anche le compagnie più svogliate devono per legge mescolare l'alcol alla benzina, il biodiesel al gasolio.

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